“Perché il vostro maestro mangia
insieme con i pubblicani e i peccatori?”
Mt 9,11
Se vogliamo entrare realmente in contatto con la realtà di una cosa o di una persona, il primo passo da compiere è di capire che ogni idea distorce la realtà e costituisce una barriera tra la nostra visione e quella realtà.
L’idea non è la realtà. L’idea «vino» non è il vino; l’idea “donna” non è questa donna. Se voglio realmente captare la realtà di questa donna Indiana, io devo ignorare le mie idee di ”femminilità” e di “indianità” e vedere questa donna nella sua ipseità, cioè nella sua concretezza, nella sua unicità. Purtroppo la maggior parte della gente il più delle volte non si prende la briga di vedere le cose in questa maniera, cioè nella loro unicità: sentono le parole, tengono conto delle idee, ma non guardano mai con gli occhi di un bambino questa entità concreta, unica, malleabile e viva che si muove davanti a loro. Vedono semplicemente un passero, non vedono la meraviglia irripetibile di questo essere unico che sta loro di fronte, così come vedono solo una piacente donna indiana.
L’idea. perciò costituisce una barriera alla percezione del reale.
Un’altra barriera è costituita dal pregiudizio. Questa cosa o questa persona è buona o cattiva, bella o brutta. Già l’idea di “indiana” o di “donna” o di “piacente” costituisce una barriera quando io guardo a questa persona concreta. Ma ora all’idea io aggiungo un giudizio e dico: è buona, oppure cattiva; attraente e bella, oppure non attraente, brutta. Questo giudizio mi impedisce ancor più di vederla, perché essa in realtà, non è né buona né cattiva: essa è puramente essa, in tutta la sua unicità. Il coccodrillo e la tigre non sono né buoni né cattivi: sono semplicemente coccodrillo e tigre. Buono e cattivo si dicono in riferimento a qualcosa che sta al di fuori di loro stessi. Noi li definiamo buoni e cattivi nella misura in cui rientrano nella nostra prospettiva, nella misura in cui sono piacevoli ai nostri sguardi o ci sono di aiuto oppure costituiscono per noi una minaccia.
Rifletti ora a quando qualcuno ti ha definito buono, o attraente, o bello. O ti sei chiuso in te stesso, perché dentro di te pensavi di essere brutto, e ti sei detto: «Se tu mi conoscessi quale realmente io sono non mi avresti definito bello»; oppure ti sei aperto ai complimenti espressi da quella persona e realmente ti sei creduto bello e ti sei concesso un brivido di compiacimento per quel complimento. In entrambi i casi hai sbagliato, perché tu non sei né bello né brutto. Tu sei tu.
Se ti lasci irretire dai giudizi della gente che ti sta intorno, tu mangi il frutto della tensione, della insicurezza e dell’ansietà, perché se oggi ti dicono bello e ti senti gonfiare, domani ti diranno brutto, e tu ti sentirai a terra. La reazione giusta perciò di fronte a chi ti definisce bello è quella di dire a te stesso: «Questa persona rivela così la sua attuale percezione e il suo attuale umore. Mi vede bello, ma ciò non rivela niente di quello che sono io. Un’altra persona, al posto suo, di differente formazione e con un altro umore e modo di vedere, mi direbbe brutto. Ma neppure questo direbbe qualcosa di me».
Molto facilmente siamo influenzati dal giudizio degli altri nel farci un’opinione su noi stessi. Per conservarti realmente libero sta’ pure a sentire le cose «buone» e quelle «cattive» che dicono su di te, ma impara contemporaneamente a non provarne alcuna emozione: come un computer che non reagisce, qualunque dato gli venga fornito. Di fatto, ciò che gli altri dicono di te non rivela nulla di quel che essi sono, come non rivela nulla di te stesso.
A dire il vero, anche tu devi fare attenzione ai giudizi che emetti su te stesso, perché anche questi si fondano su schemi di valutazione che tu desumi dalla gente che ti sta intorno. Quando tu giudichi, condanni o approvi, vedi sempre bene la realtà? Il guardare alle cose con intento di giudizio (di approvazione o di condanna) non costituisce forse la maggior barriera a capire e a osservare le cose quali sono realmente?
Prendi caso di quando qualcuno ti ha detto: «Tu per me sei proprio un tipo speciale». Se accetti questo complimento, tu assapori i1 frutto della tensione. Infatti, perché voler essere speciale per qualcuno e sottomettersi a questo tipo di approvazione e di giudizio? Perché non accontentarsi di essere semplicemente se stessi?
Quando qualcuno ti dice quanto sei speciale, tutto ciò che puoi dirti è: “Questa persona, dato il suo particolare gusto, i suoi bisogni, desideri, propensioni e proiezioni, ha una particolare inclinazione verso di me, ma tutto questo non dice niente su di me in quanto persona. Altri, invece, non mi trovano per nulla speciale. Ma anche questo non dice nulla di me in quanto persona”.
Inoltre, nel momento in cui accetti quel complimento e permetti a te stesso di rallegrartene, tu dai, alla persona che ti ha lodato, il controllo su di te: tu infatti farai l’impossibile per continuare a essere speciale per lei; e sarai in continua paura che quella persona incontri qualcun altro che diventi speciale ai suoi occhi al posto tuo, facendoti sloggiare dalla posizione di privilegio che hai nella sua vita.
E così ballerai continuamente alla sua musica, vivendo secondo le sue aspettative: e hai perso la tua libertà, ti sei reso dipendente da lui per la tua felicità, perché hai legato la tua felicità al giudizio che egli da di te.
A questo punto c’è il pericolo di peggiorare ancor più la tua situazione mettendoti a cercare altre persone che ti dicano anch’esse che sei speciale per loro. E spenderai tempo ed energie per assicurarti che esse non perdano questa immagine che hanno di te. Che esistenza logorante! Perché ecco, arriva immediatamente la paura: paura che la tua immagine venga distrutta.
Se ciò che vai cercando è l’assenza di paura e la libertà, tu devi lasciar perdere tutte queste case. Come? Rifiutandoti di prendere sul serio chiunque ti dica quanto sei speciale. Se io ti dico: «Tu sei speciale per me», questa espressione esprime semplicemente qualcosa del mio presente umore nei tuoi confronti, qualcosa dei miei gusti, del mio attuale stato d’animo e del mio livello di sviluppo. Nient’altro. Prendine si atto, ma non rallegrartene. Quello di cui puoi rallegrarti è la mia compagnia, non il mio complimento. Quello che puoi godere è il mio attuale interscambio con te, non la mia lode.
E se tu sei saggio, tu mi spingerai a cercare molte altre persone speciali: così non sarai mai tentato di fermarti e bloccarti su questa immagine the io ho di te: non ne godrai, perché sarai continuamente consapevole di quanta facilmente può cambiare questa immagine. Godrai perciò soltanto del momento presente, perché se godrai dell’immagine che io ho di te, io ti controllerò, e tu per non urtarmi avrai paura a essere te stesso, avrai paura a dirmi la verità, a fare o dire qualcosa che potrebbe danneggiare l’immagine che ho di te.
Estendi ora queste considerazioni a tutto ciò che la gente dice di te: che sei un genio, un saggio, che sei buono e santo. Se crederai a questi complimenti, in quell’attimo tu perderai la tua libertà: perché da quel momento non cercherai altro che alimentare queste opinioni; avrai terrore compiere qualche sbaglio, paura a essere te stesso, di fare o dire qualcosa che potrebbe impoverire la tua immagine. Hai perso la libertà di prenderti in giro, di farti deridere e di essere ridicolo; hai perso la libertà di fare o dire qualunque cosa tu senta giusta, per far solo ciò che collima con l’immagine che gli altri hanno di te.
Come si spezza questa catena? Con lunghe, pazienti ore di studio, di consapevolezza, di osservazione su che cosa questa immagine ti dà. Che cosa ti dà? Un brivido di voluttà, ma assieme a molte insicurezze, e schiavitù e sofferenze. Se tu te ne rendessi conto con chiarezza, svanirebbe il tuo desiderio di essere speciale per qualcuno o di essere stimato superiore dagli altri. Ti metteresti a tuo agio fra i peccatori e fra la gente di cattivo carattere, e faresti e diresti ciò che più ti piace, senza alcun riguardo a ciò che la gente può pensare di te. Saresti come gli uccelli del cielo e i fiori, i quali sono così radicalmente inconsapevoli, cosi occupati a vivere da non poter più minimamente interessarsi a ciò che gli altri pensano di loro, a essere più o meno speciali per gli altri. E così finalmente non sarai più preda di paure, e sarai libero.
padre Agostino