In quanto corpo noi non saremo mai liberi, né lo saremo in quanto psiche: lo possiamo faticosamente diventare solo in quanto spirito e la principale manifestazione dello spirito è il pensiero, non necessariamente sotto forma di pensieri teoretici, ma anche, come già detto, sotto forma di produzioni artistiche e scelte etiche che nascono prima nell’interiorità e poi si manifestano esteriormente.
Il pensiero può essere la sorgente della liberazione perché in esso risiede, prima ancora, la principale e più dura prigionia. Sono almeno tre le prigioni in cui esso rinchiude più o meno tutti noi: il rumore, l’ego, l’ideologia. Il pensiero imprigiona anzitutto perché produce interrottamente rumore, quel continuo e insoddisfatto rimuginare, quel lavorio di fondo che non ha tregua e che scava giorno e notte dentro di noi. Si tratta di un tarlo nascosto che non cessa di insinuarsi di soppiatto nell’interiorità, e che ingigantisce, esagera, deforma e può persino diventare ossessivo generando un permanente assedio della mente, privata di ogni contatto diretto con la realtà. Da qui sospetti e gelosie, laddove non vi sono motivi per sospettare o essere gelosi di nulla; da qui l’incapacità di ascoltare e di vedere le cose per quello che realmente sono. Significativamente è dal termine pensiero che proviene il termine paranoia: “Paranoia è un’antica parola greca: nòos è il pensiero, para – l’andare al di là».
La forma più frequente di pensiero paranoico si manifesto nella considerazione di sé da parte dell’ego, la seconda grande prigionia a cui il pensiero incatena. Si pensa se stessi andando al di là dei limiti reali e ci si gonfia, o ci si sgonfia, a dismisura. Nel primo caso l’ego si crogiola nel suo personaggio, nel suo avere relazioni che contano, nel suo sapere, nel suo potere, nel suo essere importante. Nel secondo caso l’ego è schiacciato dal peso delle sue paure e vorrebbe persino scomparire sentendosi perennemente inadatto, incapace, inferiore.
Di queste manifestazioni patologiche più che al singolare dicendo pensiero si dovrebbe parlare al plurale dicendo pensieri, sinonimo di fastidi, preoccupazioni, ansie, paure, follie, illusioni o, per l’appunto, paranoie, cioè pensieri al di là, pensieri ingrassati. Questi pensieri arrivano quando vogliono loro, il più delle volte non richiesti e non graditi, e da essi è necessario liberarsi per giungere a essere finalmente liberi: liberi in quanto spensierati.
Un’ulteriore forma di pensiero-prigione si manifesta nella dipendenza da dottrine altrui: è il pensiero-ripetitore, il pensiero-portavoce, il pensiero-portaborse. Si tratta di una prigionia della mente molto diffusa. Io l’ho sperimentata in quelle circostanze in cui mi ritrovavo a dover difendere decisioni prese da altri e che io, avendo fatto professione di cattolicesimo, ero tenuto a fare mie pur senza scorgerne la verità interiore. Naturalmente questa forma di pensiero-prigione non riguarda solo i cattolici, riguarda tutti coloro che fanno professione di una fede definita, compresi coloro che aderiscono all’ateismo in quanto fede negativa che esclude dogmaticamente l’esistenza di ogni forma di trascendenza. Tale forma di pensiero servile riguarda anche la politica, l’economia, il diritto e in genere le varie forme di cultura, tutte più o meno suddivise in scuole di pensiero e di potere. È assai diffusa persino nell’ambito dello sport, dove non si esita a parlare di fede (la cosiddetta fede calcistica) e dove vi sono difensori così zelanti della propria squadra da non temere confronti con i più fervorosi missionari del proselitismo religioso.
Ma se il pensiero è causa di prigionia, può essere anche la sorgente della liberazione. Esso è veleno e insieme e medicina della libertà. Come infatti non c’è medicina che possa ignorare l’infezione che vuole curare (non a caso il termine greco phàrmacon significa sia farmaco sia veleno), così non c’è via di salvezza che possa fare a meno di attraversare la prigione. Il pensiero può essere medicina proprio perché è stato ed è sempre ancora, veleno.
Che infatti un pensiero possa essere paranoico, lo può riconoscere solo un altro pensiero; e che il pensiero possa essere una prigione, lo può vedere solo un altro pensiero. A noi non è dato uscire dal pensiero, non possiamo non pensare; possiamo solo trasformare il pensiero. Quattro secoli fa, nelle sue carte pubblicate postume, così scriveva il matematico e filosofo francese Blaise Pascal: “Sforziamoci dunque di pensare bene: questo è il principio della morale».
v. mancuso
padre Agostino